Diffondiamo da leviedellasia.corriere.it del 14 marzo 2016 la recensione di Marco Del Corona al nuovo libro di Vittorio Volpi sul Giappone
Le prospettive ingannano. È vero che oggi la superpotenza asiatica che ha scardinato gli equilibri globali è la Cina, ma l’Estremo Oriente non si è ridotto a un duetto Pechino-Washington. C’è il Giappone. Che ha vissuto tempi di maggior gloria, ma che non è mai davvero scomparso. È pur sempre la terza economia mondiale e, forse, sta riacquistando il vigore perduto.
Il rinascimento nipponico, o quantomeno le sue premesse, stanno nella sua storia, affermano coloro che scommettono su Tokyo. Vittorio Volpi è uno di questi. Studioso, banchiere, docente, a lungo collaboratore anche del «Corriere» dal Giappone dove ha vissuto per trent’anni, Volpi è convinto che occorra guardare indietro per convincersi che le lost decades, i decenni perduti seguiti allo scoppio della bolla di fine anni Ottanta (lo choc che coincise, con prepotente forza simbolica, con la morte dell’imperatore Hirohito nel 1989) sono forse una stagione conclusa.
In «Giappone delle meraviglie. Miracoli del passato, sfide del futuro» (prefazione di Franco Mazzei, Università Bocconi Editore) Volpi osserva come la straordinaria ascesa postbellica dell’arcipelago sia il frutto di due aperture al mondo: quella tra Ottocento e Novecento che obbligò l’Occidente ad accorgersi dell’esistenza di un attore nuovo; quella dalle ceneri della sconfitta del 1945, un risollevarsi favorito dall’amministrazione americana (che l’autore definisce lungimirante), dalla resilienza e dal coraggio della popolazione.
Qui, in un dato più culturale che economico, sta il nocciolo delle convinzioni di Volpi. La forza del Giappone è nella sua gente, come ha dimostrato anche la reazione alla triplice catastrofe del 2011 (terremoto, tsunami, disastro nucleare di Fukushima). E se Tokyo, arrivata a un passo dal superare gli Usa come prima economia del mondo, è poi scivolata fuori strada è stato per aver tradito se stessa. Nel momento del picco — scrive Volpi — si manifestava l’arroganza, alimentata dal successo travolgente, forse accompagnata da «una profonda crisi di valori», dalla «messa in discussione del modello tradizionale di famiglia» e dalla «crisi del sistema educativo»: tutti fattori che hanno fatto trovare il Giappone disarmato di fronte alla globalizzazione e hanno trasformato la possibile «terza apertura» in un’occasione mancata.
Ora tocca a Shinzo Abe. E occorre confidare nell’efficacia delle ricette politiche ed economiche del premier, le «tre frecce» della Abenomics: l’«audace politica monetaria espansiva»; una «politica fiscale flessibile»; e l’«ancòra attesa» offensiva sul fronte delle riforme strutturali. Non sarà facile, perché al Giappone — qui Volpi cita lo yamatologo Franco Mazzei — «manca un establishment paragonabile al celebre triangolo di ferro costituito da burocrazia, business community e leadership liberaldemocratica che guidò in maniera ferma e illuminata il Paese durante la guerra fredda». Occorre svecchiare pratiche e attitudini culturali e puntare sulla «quarta freccia», liberando «l’enorme potenziale del settore privato». Il cimento sta nell’andare avanti senza dissipare il benessere raggiunto e, nonostante tutto, mantenuto. Sostenibilità sociale ed economica. Se il Giappone ce la facesse, sarebbe un bene (va da sé) non solo per Tokyo.